Uber Eats condannata per non avere voluto informare la Cgil sui criteri con cui, attraverso il sistema di funzionamento dell’algoritmo, vengono organizzati e determinati gli incarichi assegnati ai lavoratori della piattaforma di delivery.
Il ricorso presentato il 19 gennaio da Nidil Cgil Palermo, Filt Cgil Palermo e Filcams Cgil Palermo è stato accolto dal giudice del lavoro Santina Bruno, che ha condannato l’app a comunicare alle organizzazioni sindacali “le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”.
La sentenza ha riconosciuto la “natura antisindacale” del diniego di Uber di fornire indicazioni alle sigle sindacali che hanno presentato il ricorso.
Secondo i sindacati potrebbe esistere un problema di discriminazione nell’assegnazione delle turnazioni e degli ordini ai fattorini.
“I lavoratori non sono realmente liberi di organizzare in piena autonomia la propria giornata lavorativa. Se Uber Eats presuppone che siano lavoratori autonomi dovrebbe loro lasciare autonomia decisionale e organizzativa”, dichiarano i segretari generali di Nidil Cgil Palermo Francesco Brugnone, Filt Cgil Palermo Fabio Lo Monaco e Filcams Cgil Palermo Giuseppe Aiello.
Nell’ordinanza il giudice stesso cita il decreto 104 trasparenza del 24 giugno 2022, che applica la direttiva europea. Il decreto impone ‘al datore di lavoro di informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assegnazione di compiti o mansioni…’. “Si tratta della prima pronuncia del genere – dichiara l’avvocato di Nidil Cgil Palermo Giorgia Lo Monaco, che ha seguito il ricorso assieme agli avvocati Maria Matilde Bidetti, di Nidil nazionale, Carlo De Marchis, della Filcams nazionale e Sergio Vacirca della Filt nazionale.
“L’utilizzo da parte di una piattaforma di sistemi automatizzati, senza trasparenza, può comportare la discrezionalità nella scelta dei rider. Tanti sono i profili discriminatori possibili – aggiunge Giorgia Lo Monaco – L’altra novità è che viene affermato il principio che anche le organizzazioni sindacali hanno diritto a richiedere queste informazioni. L’ordinanza ha ritenuto che la società affidi gli ordini ai rider sulla base di scelte effettuate da un sistema automatizzato in forza di parametri inseriti che non prevedono una scelta casuale o random. La piattaforma deve quindi spiegare su quali parametri sta scegliendo un rider e non un altro. È un sistema opaco, nonostante ci sia l’obbligo informativo previsto dalla legge, che la piattaforma non rispetta, tanto da avere determinato una condotta antisindacale”.
La sentenza in pratica fornisce uno strumento in più di intervento per il sindacato sull’analisi del lavoro dei rider.
“È una sentenza importante, che va a colpire l’algoritmo e che può fare storia, può tornare utile per i lavoratori e per i loro diritti. Con la trasparenza sull’algoritmo – aggiungono Brugnone, Lo Monaco e Aiello – possiamo individuare le modalità con cui Uber stabilisce la distribuzione dei carichi lavoro ai rider e riconoscere i criteri di scelta su chi far lavorare. Sarà così più semplice rintracciare eventuali forme di discriminazione o elementi di organizzazione del lavoro tipici della subordinazione, malgrado le piattaforme considerino i rider ancora lavoratori autonomi.”