I turisti sono tornati, la stagione estiva ha ripreso quota, ma le difficoltà dei lavoratori sono sempre le stesse. Abbiamo raccolto le loro storie
Quella da poco conclusa è stata una stagione diversa dalla precedente per i lavoratori del Turismo, da quella e da ogni altra perché anche quest’anno, nonostante l’indubbio aumento dei flussi turistici e quindi del lavoro, i numeri sono stati comunque inferiori a quelli delle annate pre Covid: l’inizio incerto ha visto ancora il ricorso alla cassa integrazione, i mesi centrali hanno portato il tutto esaurito, mentre considerando le condizioni di lavoro quella che sembra emergere è la consueta dualità, che vede una quota di impiego regolare convivere con una considerevole quota di sommerso.
Per Luca, doorman in un hotel fiorentino, si è trattato di un’ottima stagione, piena di segnali incoraggianti per i tempi a venire. “L’anno scorso il nostro albergo aveva aperto a fine giugno, quest’anno abbiamo iniziato a maggio, anche se attingendo ancora alla cassa integrazione per partire – racconta – però poi sono rientrati tutti via via che il lavoro aumentava. Da fine giugno a fine agosto abbiamo lavorato a pieno ritmo, a settembre abbiamo avuto ancora il 50-60% di occupazione e anche ottobre sembra continuare così. Più avanti non si può dire ancora come andrà, perché le prenotazioni non arrivano più con tanto anticipo”.
Anche le città d’arte quindi hanno recuperato terreno, hanno visto tornare i turisti stranieri di prossimità, mentre cominciano a ricomparire anche quelli statunitensi.
“A luglio e agosto sono state assunte diverse persone, con contratti a chiamata e stagionali, al massimo fino al 30 settembre – racconta ancora Luca – ma è stato veramente difficile trovarle. Chi aveva la disoccupazione o la cassa integrazione di altre aziende ha preferito declinare un lavoro breve per una differenza economica non importante”.
E nell’albergo dove lavora Luca, storico 4 stelle fiorentino, il contratto è applicato regolarmente.
Per Giordana, impiegata alla Cisalpina Tours, “la situazione è leggermente ripresa ma la cassa integrazione è ancora in vigore, l’azienda non ha messo tutti a lavorare a pieno regime e il lavoro che c’è grava sui dipendenti in forze. Anche se abbiamo ripreso, abbiamo passato tanti mesi con entrate ridotte e nelle famiglie si sono accumulati arretrati da pagare”.
Il lavoro in più di questa estate è già calato e anche se la gente ha di nuovo voglia di viaggiare ci sono ancora tanti rimborsi Covid in sospeso, che tardano ad arrivare “e clienti arrabbiati che vengono in agenzia a reclamare i loro soldi per poter fare altri viaggi”. E poi c’è la paura di nuovi lockdown. “Sono problematiche che conosciamo bene tutti, ma che hanno un altro peso sulla pelle di noi dipendenti. Per non parlare poi del fatto che la nostra azienda ha chiesto un ulteriore, lungo periodo di cassa integrazione, fino al prossimo anno. Ai problemi lavorativi si sommano così quelli personali, affitto e bollette da pagare, mutuo da sospendere, figli da mandare in piscina”.
Loubna lavora alla reception di un albergo in Sardegna: è il suo secondo lavoro, per il resto dell’anno è impiegata in una mensa. Anche lì un’ottima estate, ci dice, tanto lavoro, e il contratto è regolare. “Ma anche a me è stata fatta una proposta indecente – racconta – dal proprietario di un ristorante che si lamentava del fatto che ‘questi ragazzini vogliono sapere l’orario di uscita’. Giustamente, gli ho detto, se li chiami a lavorare alle 11 del mattino senza fargli sapere l’orario di chiusura e gli metti in mano 900 euro, è ovvio che non viene nessuno. Io non vengo a lavorare per questa paga, a queste condizioni. Ho un figlio di 20 anni e ho preferito lasciarlo a casa a studiare, se deve andarci per queste cifre, lavoro io”.
“Ho avuto un’esperienza positiva quest’anno – dice Alessia, cameriera nella ristorazione, dalla Sicilia – perché sono riuscita a impormi e ho avuto un contratto regolare, ma altri colleghi possono raccontare storie ben diverse. La situazione generale è sempre la stessa, il nostro territorio è troppo ostile, non c’è proprio la cultura del lavoro regolare e così per lo più i lavoratori accettano questo modus operandi, non chiedono, non ci provano neanche, è sempre stato così. È troppo radicata la mentalità del lavoro nero in questo settore”. La considerano una battaglia persa.
“Vorrei che ci fosse più voglia di cambiare, essere tutti insieme, con un’unica voce. Ieri mi è scaduto il contratto e a novembre dovrei iniziare a lavorare in un bar, con un contratto regolare – racconta ancora Alessia – ma bisogna sempre vedere se quello che dicono poi lo fanno. Quest’anno hanno giocato molto con il ‘resti pure d’inverno’, e poi non è stato così, a fine stagione li hanno mandati via”.
In Puglia incontriamo Antonio, sommelier. L’estate non è andata bene per lui, pensava di fare la stagione nella sala ricevimenti di un ristorante, ma è stato contattato dai proprietari di una vineria che apriva verso la fine di luglio, che gli offrivano un posto stabile. Antonio ha scelto loro, ha lavorato per un mese e mezzo, ma quando ha comunicato di aver bisogno di un sabato libero per questioni personali, due giorni dopo è stato licenziato, a voce. “Lascia le chiavi – gli hanno detto – te ne devi andare”. Nessun preavviso, nessuna lettera di licenziamento, il lavoro è svanito così, in un attimo.
“Ho perso la stagione, con la quale avrei guadagnato di più rispetto allo stipendio fisso che mi era stato offerto, ho perso la stabilità lavorativa che mi aveva convinto a fare quella scelta e ho perso lo stipendio”. Il problema della ristorazione al sud, secondo Antonio, è endemico. “Sabato e domenica ho fatto una prova in un ristorante, a Trani, sabato ho fatto 15 ore di lavoro, domenica un altro turno massacrante e il titolare del ristorante mi ha detto ‘vieni giovedì che ti pago’. Non mi ha pagato subito e non so nemmeno quanti soldi mi deve dare. E tutto così, campato in aria. Nella ristorazione non ci sono orari e le professionalità non vengono valorizzate. I ristoranti fanno quasi h24, la cucina non chiude mai, quei poveretti dei lavapiatti non si capisce che turni devono fare e non oso immaginare che contratti abbiano, se ce li hanno. Nel sud è un cancro, chi più chi meno, si lamentano tutti”.
Ci spostiamo sulla Riviera Adriatica, a Bellaria, dove P. questa estate ha lavorato in un hotel come cameriera ai piani. Il contratto le è arrivato su whatsapp, non ha firmato niente. Ha lavorato luglio e agosto. Ha lavorato tanto, quando finiva le camere passava a lavare i piatti. Il compenso era inferiore a quello previsto da un contratto regolare, e in più luglio glielo hanno pagato e agosto no, e se avesse voluto continuare, a settembre, avrebbe dovuto fare a meno anche di quella specie di contratto mandato in chat. Lei ha detto no.
Altri lavoratori nello stesso albergo non sono stati pagati e hanno chiesto inutilmente quanto gli spettava. “Pretendono tanto, non hanno alcun rispetto e sono sempre più aggressivi”.
L’estate, quindi, si può dire che sia andata meglio rispetto a quella dell’anno passato, i turisti sono tornati, le spiagge erano affollate, gli alberghi al completo e i ristoranti aperti fino a tardi. Ma superata la soglia dell’applicazione corretta del contratto, del rispetto di orari equi e turni di riposo, si apriva la porta sulla solita zona scura, dove lavoro nero e grigio proliferano senza controllo. Per tanti, troppi, lavoratori, questa estate è stata come tutte le altre, faticosamente lontana dai diritti e dalla dignità.