Pulizie Bper Banca, l’appalto al ribasso che taglia quasi 200 stipendi

Le ore di lavoro ridotte fino al 70%, la testimonianza di due lavoratrici

Si potrebbe pensare che il lavoro svolto all’interno di una banca, un istituto di credito che gode di ottima salute, sia un lavoro senza troppe sorprese, anche quando si tratta del servizio di pulizie che garantisce la cura e l’igiene delle filiali, per dipendenti e clienti.

Ma dove ci sono gli appalti e le ditte si avvicendano a quanto pare non è rilevante quanto floride siano le casse della committenza, di fronte a una gara al ribasso la scelta cadrà sempre sull’offerta più economica.

E poco importa se assicurarsi il servizio in appalto a un prezzo ridotto significhi tirare una coperta sempre più corta e lasciare al freddo soltanto lavoratrici e lavoratori, l’essenziale è che ad essere tutelati siano gli interessi dell’azienda committente e della ditta in appalto.

È un film già visto, ma la versione appena proposta dalla coppia Bper Banca e Coopservice ha un plot particolarmente feroce.

La ditta in appalto, subentrata dal primo febbraio, ha imposto a una percentuale considerevole delle circa 490 lavoratrici – e lavoratori, ma sono quasi esclusivamente donne – occupate nel servizio di pulizie di Bper Banca nell’area del Nord Italia e della Sardegna, una raffica di tagli orari che oscilla tra il 20 e il 70%.

Circa 200 lavoratrici e lavoratori hanno visto il loro monte ore assottigliarsi, o crollare.

Tra i diversi ridimensionamenti spiccano cifre paradossali, lavoratrici che sono passate da 25 a 10 ore settimanali, da 10 a 2,75, da 5 ore a 75 minuti. Cosa potranno fare in un tempo così ridotto, dove gli spazi da pulire sono rimasti gli stessi?

E come faranno soprattutto ad assorbire il colpo di una improvvisa perdita economica, che si materializza nelle loro vite per preservare ben altri bilanci?

“Mi hanno tagliato le ore da 10 a 6 e mezzo – racconta una lavoratrice, che mettendo insieme questo e un altro lavoro riusciva a raggiungere 25 ore di lavoro settimanali – e già 10 ore, per pulire un luogo di grandi dimensioni, a contatto con il pubblico, erano strette. Ci sono i bagni da fare, e sanificare, i pavimenti, i bancomat, i cestini da svuotare, il pattume da portare fuori, c’è sempre parecchia carta, parecchia differenziata”. Il tempo si divide in tante cose. “Io sono una che corre, ma non mi posso ammazzare per finire tutto. Come posso fare – si chiede – cosa lascio indietro? I clienti che entrano e trovano sporco non danno la colpa alla ditta o alla banca, ma a me che pulisco, la figura l’ho sempre fatta io”.

Essendo una banca, il lavoro viene svolto nell’orario di apertura, muovendosi tra impiegati e clientela. “Non si può lavorare così. Loro ragionano su dei numeri, ma non sul fatto che c’è un corpo che lavora”.

La mortificazione colpisce nella vulnerabilità economica, ma lavorare meno non significa solo guadagnare meno, significa anche non poter fare bene il proprio lavoro, viene a mancare anche la possibilità di svolgere dignitosamente la propria professione, è una ferita anche quella.

“Prima disponevo di due ore e mezzo al giorno, adesso sono diventate la metà”, racconta un’altra lavoratrice vittima dei tagli di Coopservice. “Mi rendo conto che non sto facendo niente rispetto a prima, il tempo è troppo poco”.

La nuova ditta, riferisce la lavoratrice, gestisce tutto attraverso una app, con la quale vengono inoltrati i documenti da restituire firmati. Una difficoltà in più.

“Ma nel frattempo non abbiamo ancora avuto il mansionario. Mi sembra – aggiunge la lavoratrice – che del contratto che avevo sia rimasto solo il tempo indeterminato, tutto il resto è incertezza. Ci viene imposta anche la disponibilità a spostarci, per un lavoro di così poche ore”. 

Del suo part time e della sua retribuzione resta ben poco. “Non capiscono la nostra vita. Io sono preoccupata, perché devo capire come fare ad andare avanti: la mia busta paga era di 450 euro al mese, adesso è la metà. Come pensano che una persona possa, da un giorno all’altro, rinunciare a metà dello stipendio? Non può finire così”.