di Esmeralda RIZZI – Dipartimento politiche di genere Cgil Nazionale
Siamo sempre in grado di renderci conto di stare agendo o subendo discriminazioni? E se non lo siamo, quale è lo strumento che possa aiutarci a farlo?
Nell’ultimo disegno di legge sulla parità salariale che introduce modifiche al Codice per le Pari opportunità, la cosiddetta Legge Gribaudo, in uno stesso articolo, si parla di “lavoratrici e lavoratori” e poi, al comma successivo, solo di “lavoratori” escludendo così dalle tutele previste da quella norma le lavoratrici sia sotto il profilo semantico ma anche del diritto e di fatto introducendo una discriminazione. Lo ha spiegato bene l’avvocata del lavoro Tatiana Biagioni, nel corso del suo intervento al terzo appuntamento di “L8ttiamo. Donne-lavoro-contrattazione” dedicato dalla Filcams nazionale al tema dell’importanza del linguaggio nel contrasto a stereotipi e discriminazioni. Anche sul lavoro.
Le parole sono importanti perché ciò che non viene detto non è, non esiste, e quindi è importante “nominare” persone, eventi, cose, come ben sanno i vincitori che scrivono la storia cancellando gli sconfitti. Ma le parole fanno di più: ci dicono molto su chi parla. L’uso, la scelta del linguaggio raccontano molto della persona che sta parlando. Basti pensare, per esempio, al recente discorso di Giorgia Meloni dal palco elettorale andaluso di Vox – partito di estrema destra neo-franchista spagnolo – che ha indignato molti perché dai toni più forti, netti e polarizzanti rispetto all’immagine pubblica italiana. Nel nostro Paese Meloni, che viene da molti indicata come probabile prossima premier, ha cercato di costruirsi un’immagine più moderata. Non così in Spagna dove è considerata una leader delle destre europee sovraniste. Le parole l’hanno smascherata.
Per chi fa sindacato, quindi, come ha ricordato introducendo i lavori della mattinata Cinzia Bernardini segretaria nazionale della Filcams, l’uso di un linguaggio appropriato, non discriminante ma anche in chiave di riconoscimento dell’altro, è fondamentale. Soprattutto per le donne che dopo secoli di emarginazione dalla vita pubblica e dalle professioni più prestigiose, oggi hanno la possibilità teorica di raggiungere qualunque obiettivo o scegliere qualunque carriera.
“In italiano il neutro non esiste. Quello che usiamo abitualmente quando ricomprendiamo in un unico genere l’intero universo – ha spiegato la sociolinguista Vera Gheno – è il “maschile sovraesteso”. O, tutt’al più una parola ambigenere, come giornalista, che viene però declinata dall’articolo: il giornalista/la giornalista”. Così è importante dire assessora, ingegnera, avvocata e anche segretaria generale perché con un sol gesto si ottengono due obiettivi: riconoscere alla donna il valore del percorso compiuto e dire le altre donne che si può, si può fare.
“C’è una correlazione netta tra linguaggio e potere, le parole sono strumento del potere”, ha ricordato Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere Cgil ma, soprattutto, ex segretaria generale della Cgil.
La presunta universalità del punto di vista maschile ha nel tempo, anche inconsapevolmente, emarginato le donne e creato un mondo a misura di uomo. Così nelle scelte della politica, nell’organizzazione del lavoro che troppo spesso anche in contrattazione finisce per declinare tutto secondo tempi, performance, obiettivi discriminatori per le donne. Basti pensare ai premi di produzione legati alla presenza che penalizzano le lavoratrici in maternità. Il principale strumento per evitare di scivolare in discriminazioni non volute è quindi la consapevolezza. E la Filcams, con i seminari del ciclo “L8ttiamo”, sta contribuendo fattivamente a questo percorso.