I lavoratori domestici (colf, badanti, baby-sitter) in Italia sono stimati in circa due milioni; meno della metà – 920mila – sono assunti con contratto di lavoro regolare, i rimanenti lavorano in nero, con tutti i rischi che ne derivano in tema di sicurezza, tutele e diritti. Tra tutte le lavoratrici e i lavoratori del vasto comparto dell’assistenza familiare, due addetti su tre sono stranieri, prevalentemente originari dell’Est Europa e delle Filippine.
I NUMERI.
Un settore complesso, come emerge dai dati del rapporto che l’associazione datoriale delle famiglie Domina redige regolarmente con il supporto della fondazione Moressa, con un altissimo indice di irregolarità, come testimoniano anche i report dell’Ispettorato del Lavoro, che nel 2020 ha registrato un tasso molto vicino al 50% (49,37% per la precisione) di posizioni irregolari nei controlli periodici.
Tra dipendenti e datori di lavoro, il settore coinvolge circa 4 milioni e mezzo di persone, con una presenza territoriale che si concentra per un terzo circa (34,7% del totale) in Lombardia e nel Lazio; seguono la Toscana (8,4%), l’Emilia-Romagna (8,2%), il Piemonte (7,7%) e il Veneto (7,4%). Il 95% dei datori è di nazionalità italiana. Gli stranieri comunitari rappresentano il 2,4%, mentre gli extracomunitari sono il 2,6%. Quanto ad età dei datori di lavoro, le due fasce più rappresentate sono gli “under 60” (31,5%) e gli “over 80” (35,9%).
UN SETTORE IN CRESCITA.
Nel raffronto tra gli ultimi due anni di monitoraggio completo del settore (2019 e 2020) i datori di lavoro sono aumentati in media dell’8,5%, con una punta di +21% in Basilicata e un modesto + 3,1% in Lazio. Aumento che va di pari passo con l’aumento degli assistenti familiari, dovuto in parte alle cambiate esigenze legate allo scoppio della pandemia. Il lockdown ha infatti imposto regole molto rigide, tanto da dover ricorrere alla regolarizzazione dei propri collaboratori familiari per consentirne gli spostamenti, giustificati per motivi di lavoro.
Ecco, quindi, che nel 2020 la platea dei lavoratori si assesta su una cifra poco sotto il milione (920mila totali con un incremento di 64mila rispetto al 2019), con solo il 31% di nazionalità italiana. Tra i due terzi di stranieri spiccano rumeni e ucraini, che rappresentano rispettivamente il 24,8% e il 14,6% del totale.
“Dai dati elaborati da Domina e dalla Fondazione Moressa – dice Emanuela Loretone, che per Filcams nazionale segue il comparto del lavoro domestico – risulta con evidenza l’importanza delle lavoratrici e dei lavoratori domestici nella gestione e nella cura delle famiglie. Infatti, la loro attività comporta, in termini di servizi di cura e assistenza, un risparmio per lo Stato di circa 14,9 milioni di euro. Nonostante ciò, il settore è sempre dimenticato: gli ammortizzatori sociali in deroga, che durante la pandemia hanno consentito la tutela di reddito ed occupazione a tutti in Italia, qui non sono stati previsti; non c’è il riconoscimento di malattia, maternità e di tutele scontate in tutti gli altri settori”.
“Come Filcams, insieme alle Parti Sociali – dice ancora Loretone – chiediamo da tempo al Governo di destinare risorse per il riconoscimento di diritti e tutele a lavoratrici e lavoratori fondamentali per la gestione e la cura delle famiglie”.
In seguito allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, il Governo è intanto intervenuto con una norma che consente alle lavoratrici ucraine in attesa di regolarizzazione di spostarsi per arrivare ad un ricongiungimento familiare, senza che questo influisca sul rilascio del permesso di soggiorno o comprometta l’esito dell’iter per la sanatoria, nel caso non fosse ancora concluso.
Un aiuto concreto arriva invece da CassaColf, con la decisione delle parti sociali di erogare un contributo una tantum di 300 euro, finalizzato ai ricongiungimenti familiari dei profughi ucraini.
CassaColf ha attivato anche il proprio numero verde 800 100026 per supporto e chiarimenti di ogni tipo.