Maglia nera per il settore delle costruzioni che è crollato del 22,4% con una diminuzione netta di 4.447 aziende. Riparte l’agricoltura.I numeri della Grande Crisi (2008-2013) spiegano più di mille parole che cosa ha perso e che cosa ha guadagnato il nostro Paese nei cinque anni che hanno rivoluzionato il commercio mondiale: l’industria – secondo i dati forniti dall’ufficio studi Cerved – ha perso circa seimila aziende passando da un totale di 42mila alle attuali 36mila (-14,1%).
Peggio in proporzione ha fatto il settore delle costruzioni che è crollato del 22,4% con una diminuzione netta di 4.447 aziende (e quei caschi riversi a terra a piazza Affari sono lì a testimoniarlo). Non bene neanche il terziario che perde il 6,4% scontando una diminuzione di 3.789 società. In dati aggregati, dal 2008, hanno chiuso in Italia 12.865 imprese.
Le poche note positive arrivano invece dal settore delle utility, carburanti ed energia per effetto di un processo di liberalizzazione. Soprattutto riparte – anche se i volumi sono comunque minimi – l’agricoltura, denotando un inatteso ritorno alle origini.
A prima impressione sembrerebbe la sconfitta del terziario e del post-terziario, come se la Grande Crisi avesse riavvolto il nastro a prima della società dei servizi.
Al netto dell’agricoltura i dati denotano come la Grande Crisi ha operato in realtà una selezione darwiniana delle aziende, consentendo solo alle migliori (e quelle più patrimonializzate) di restare sul mercato.
A pagare il conto maggiore della crisi è soprattutto il Nord, mentre il tasso di mortalità delle imprese nel Mezzogiorno risulta più basso (meno 6%) solo perché già scontava prima della Crisi una bassissima penetrazione industriale. A ben vedere anche il Centro Italia ha subito un arresto preoccupante per effetto della crisi del terziario unita al crollo delle costruzioni. Così non resta che il biologico a riattivare i tessuti del Paese: ma basterà?
(fonte: Corriere della Sera)