12 e 13 febbraio 2025: Intervento del Segretario Generale della Filcams Cgil, Fabrizio Russo.
Buongiorno a tutte e a tutti.
Oggi mentre stavamo venendo qui ho visto scendere da un autobus un uomo sulla sessantina con una divisa da guardia giurata e una donna, sua coetanea più o meno, con una grossa borsa di quelle robuste da supermarket, piena di prodotti e spazzoloni da pulizia. Entrambi con un’espressione affaticata, e triste. Entrambi invisibili tra le migliaia di invisibili che si muovono in città, sui mezzi pubblici, in economia.
«Ecco due dei nostri», ho pensato.
Vedi l’intervento integrale QUI >>> https://youtu.be/LQzL358XDic?si=fQy3rtWiEfa-Blr3
Due dei milioni di persone che la Filcams ascolta e rappresenta ogni giorno nelle sue vertenze e mobilitazioni.
Mi veniva da fermarmi e chiedere loro «Come va?», e sapere se fossero iscritti alla nostra o a un’altra organizzazione, o a nessuna.
E sapere cosa si aspettano da questo 2025, e se anche loro hanno l’impressione, quando la sera accendono la tv, di sentir parlare di un paese che esiste solo in tv appunto, ma che non è il loro, non è il nostro.
Un paese che non è quello che vedono, vivono, soffrono loro.
Alla fine, non mi sono fermato, li ho visti andare via in velocità e perdersi tra la folla.
Però ho pensato: noi nelle nostre negoziazioni, nelle riunioni tecniche con le controparti, nelle interminabili trattative, presentiamo statistiche e dati aggregati, teniamo la posizione anche su pochi punti percentuali, strappiamo concessioni che in realtà dovrebbero essere diritti acquisiti da un secolo. Facciamo insomma quello che dobbiamo fare, che abbiamo scelto di fare come progetto di vita e di militanza.
Ma quello che in realtà deve motivarci di più ad andare avanti, anche quando qualcuno pretende di ignorarci o di farci arretrare, sono la speranza e la volontà di cambiare, almeno in parte, la vita di questi milioni di persone, giovani o meno giovani che siano, persone vere, non dati o statistiche, che vivono la precarietà, l’anonimato sociale, l’esclusione, l’economia di pura sussistenza come se fosse ormai una condizione inevitabile.
Quindi ecco qual è la verità. Non è bello dirla, ma è inevitabile: se non ci battiamo noi, se non ci uniamo noi, se non denunciamo e non facciamo argine e non lottiamo noi, le speranze e le aspirazioni di milioni di persone rischiano in pochi anni di andare perdute in modo irrimediabile.
E credo proprio per questo che ci siano un paio di questioni su tutte, in cima all’agenda, rispetto alla nostra discussione di oggi.
La prima riguarda la reale portata della fase di cambiamento che da diversi punti di vista stiamo attraversando e a quali ne siano le ripercussioni, in primo luogo, in termini di condizioni del lavoro e di sostenibilità dell’occupazione e delle occupazioni.
La seconda questione, ancora più urgente, è di identità e cultura della nostra rappresentanza, oltre che di strategia concreta: come la si affronta, una fase come quella attuale, e quale dovrebbe essere, quale deve essere il nostro ruolo, il ruolo del sindacato, il ruolo della Cgil.
È di tutta evidenza, non sono questioni banali!
Da più parti qualcuno tenta di convincerci che in realtà non è che stia accadendo granché, che siamo nell’ambito di corsi e ricorsi consueti, che anche quello che sta avvenendo nell’ultimo periodo rientra in una sorta di fisiologica ordinarietà.
Guardate, sarà senz’altro una valutazione parziale la nostra del lavoro, del lavoro nel terziario, parziale e forse da parte di chi è anche troppo coinvolto.
Ma abbiamo ormai la certezza di avere varcato, e se non lo abbiamo ancora fatto manca veramente poco, quella che dovrebbe essere considerata la soglia di non ritorno.
Quella soglia oltre la quale le condizioni del lavoro diventano talmente disperate, talmente sofferte, talmente insostenibili, da compromettere l’intera esistenza delle persone che pur lavorano in settori strategici per la nostra economia nazionale, la loro esistenza e quelle dei loro figli, delle loro famiglie, delle persone a loro care.
È di questo che alla fine stiamo discutendo oggi, della vita di milioni di persone e del fatto che qualcuno, con accanimento, queste persone le voglia definitivamente privare di qualsiasi aspettativa, di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva.
Però, e in questo sta la rilevanza della nostra discussione, non c’è solo il tema della sopraffazione, anzi, c’è solo parzialmente il tema della sopraffazione!
Per quanto ci riguarda ci sono soprattutto i temi del riscatto, dell’emancipazione, della liberazione rispetto ad uno stato di sopraffazione! Che non sono solo temi di queste due giornate ma sono le reali motivazioni a fondamento delle nostre mobilitazioni, di categoria e di iniziativa confederale e, in particolar modo, dei cinque referendum sui quali siamo chiamati ad esprimerci.
Da questo punto di vista, non c’è dubbio, siamo in una fase nella quale stanno emergendo, si stanno diffondendo, si stanno consolidando con sempre maggior forza visioni, schemi, modelli, di lettura del cambiamento distanti, estremamente distanti, spesso antitetici rispetto ai nostri.
Il modello dei licenziamenti tramite social o applicazione, dell’algoritmo che ti incatena ai pedali fino allo sfinimento, della chiusura definitiva del negozio in cui lavori che apprendi quasi per sbaglio magari proprio mentre sei in turno, dell’ennesimo cambio di appalto in cui vieni considerato una semplice variabile di costo e dello scontato e sistematico taglio dell’orario di lavoro, della disperata solitudine della colf o della badante spesso neanche assunte regolarmente, della cassiera o dell’addetta alla ristorazione lasciate in turno da sole per ore e ore, magari pure di notte, dei milioni di lavoratrici e di lavoratori part time e a tempo determinato a vita.
E per dirla tutta, quanti sostenitori hanno oggi questi modelli! Quanto sono apprezzati! Quanto convincono! Ancora di più quando riguardano gli altri e non noi.
Sono i modelli di chi ha la pretesa, velleitaria, di rappresentare e governare il paese, di una parte rilevante dell’imprenditoria nostrana, di un certo opinionismo arrembante che si sta sempre di più diffondendo, dei tanti piccoli Elon Musk sparsi ormai ovunque che si sono impadroniti del diritto, schiacciando qualche tasto del cellulare, di far precipitare, di accelerare, di contorcere la vita di migliaia e migliaia di persone.
Ormai si è formato una specie di cartello compatto e coeso del lavoro “a buon mercato”, del lavoro che è già tanto se lavori quindi accontentati e il come e il quanto lo vediamo domani, se mai lo vedremo.
Del lavoro che se non vuoi farlo perché sottopagato, dequalificato e precario significa o che sei un giovane scansafatiche o che sei un migrante che se ne deve tornare al proprio paese o che sei una donna che è meglio che badi alla famiglia e ai figli. Perché poi lo sai, se non lo fai tu, qui fuori c’è la fila di gente che non vede l’ora di prendere il tuo posto.
In Filcams abbiamo ormai una discreta confidenza con certe condotte, con certe sottoculture, con certi atteggiamenti, e, proprio per questo, abbiamo coniato e stiamo utilizzando da un po’ di tempo a questa parte una sorta di parola d’ordine che è piuttosto esemplificativa di quale debba essere invece, a nostro modo di vedere, il modello di riferimento.
Il termine che utilizziamo e del quale ci siamo imposti di permeare pressoché tutte le nostre discussioni è “l’Umanità del Lavoro” che, non casualmente, è anche il titolo della grande vertenza che la categoria ha avviato tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025
E che cos’è “l’Umanità del Lavoro”? È in primo luogo la vita delle persone, una vita che sia libera e dignitosa, che valga la pena di essere vissuta, con una prospettiva che possa essere considerata tale, indipendentemente dalla provenienza, dalla cultura, dall’età, dal genere, dall’orientamento sessuale, dalle differenti abilità.
Umanità del Lavoro vuol dire partecipare, tramite il lavoro, al legame sociale e alla crescita culturale della comunità, costruire relazioni, poter pensare a un futuro dignitoso per sé stessi e i propri cari, un futuro basato su un presente altrettanto dignitoso.
Sono questi i temi e le urgenze sui quali sviluppare dunque le nostre mobilitazioni nei mesi a venire, a partire dal massimo impegno di tutte e tutti rispetto alla riuscita dei referendum.
Continuiamo a lavorare dunque per scandire e avanzare la nostra proposta, per rinnovare la lotta per animare la speranza, per trainare il cambiamento, per affermare finalmente la nostra Umanità del Lavoro.