Un convegno della Filcams Cgil analizza la situazione della bilateralità, al centro di una ricerca effettuata da Associazione B.Trentin – ISF – Ires per conto di Ce.Mu. Centro Studi Filcams. Parti sociali e associazioni di categoria d’accordo sulla difesa delle tutele universali, con il ricorso alla bilateralità solo per prestazioni integrative, non sostitutive del welfare pubblico.
Sindacati, ricercatori, esperti, amministratori di enti bilaterali hanno partecipato all’incontro promosso da Filcams Cgil e Ce.Mu.Centro Studi per provare a fare il punto sullo “stato di salute” della bilateralità, occasione per presentare la ricerca che l’Associazione B.Trentin – ISF – IRES sta svolgendo proprio su questo tema e porterà a termine ragionevolmente entro i primi mesi del prossimo anno.
“Una presentazione che rompe la ritualità di questi incontri – ha sottolineato il segretario generale Filcams Franco Martini – che si propone di inaugurare un metodo nuovo di lavoro, anche per le ricerche, una sorta di work in progress che coinvolga tutti i soggetti interessati”.
Un metodo apprezzato soprattutto dalle associazioni di categoria Confcommercio e Confesercenti, che accettando l’invito di Filcams hanno colto l’occasione per esprimere la piena disponibilità all’apertura di un confronto che in sede di trattativa per i contratti (i primi incontri sono già programmati a partire dal 29 novembre, ndr) possa rilanciare il ruolo della bilateralità con un nuovo modello di governance, ma soprattutto con l’obiettivo di non diventare sostitutiva del sistema pubblico di welfare.
Il lavoro è stato illustrato da Fulvio Fammoni, presidente dell’Associazione B.Trentin, dal referente nazionale di Filcams per la bilateralità, Michele Carpinetti, e dai ricercatori che stanno completando la ricerca: Salvo Leonardi, Maria Cristina Cimaglia e Michele Raitano.
A circa vent’anni dalla creazione dei primi fondi bilaterali, il quadro è profondamente cambiato, molti (e di ogni tipo) dono gli enti nati in questi anni per gestire fondi integrativi e finanziamenti volti alla formazione, con la conseguenza quasi diretta di veder ridotti sempre più gli stanziamenti statali per questi campi di intervento.
“Da sempre la Cgil – ha detto Fammoni – è in campo per difendere il ruolo pubblico delle tutele universali di welfare, che non può essere soppiantato, ma semmai integrato da un ente bilaterale”.
Nel presentare i ricercatori, Michele Carpinetti ha posto l’attenzione su cosa si chiede a chi è chiamato a riformare e migliorare il sistema. “Inquadrare a che punto siamo con l’attività del sistema bilaterale – ha detto – ci serve per definire eccellenze e criticità dopo quasi vent’anni di esperienza sul campo, e per evidenziare l’esigenza di migliorare ed essere sempre al passo con i mutamenti economici, contrattuali, e di assetto del sistema delle imprese”.
Salvo Leonardi è intervenuto su Bilateralità e welfare, la riforma Fornero e i fondi bilaterali di solidarietà. “La vicenda della bilateralità riflette la crisi delle politiche sociali del nostro Paese, in quanto la sua espansione ha finito con l’ovviare alle troppe falle di un sistema di welfare eccessivamente polverizzato sul territorio, escludendo settori importanti come il mondo delle piccole imprese, il lavoro atipico e precario. Così, ad esempio, alla crescita esponenziale della sanità integrativa ha corrisposto la spesa più bassa d’Europa del welfare, con il risultato che attraverso i fondi si è cercato di porre rimedio ai drastici tagli della sanità pubblica. Una politica che riteniamo sbagliata e controproducente, anche sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto divide e non unisce il mondo del lavoro, contrapposto tra categorie ricche e povere, tra beneficiari delle prestazioni ed esclusi da ogni tipo di forma di sostegno. Il risultato finale è un universo frammentario, paragonabile a un vestito degno di Arlecchino, con tante toppe, che però non cancellano i buchi di un welfare sempre più svuotato al suo interno e privo di risorse”.
Maria Cristina Cimaglia, dell’università La Sapienza di Roma, ha illustrato la propria parte di ricerca, su Bilateralità nel terziario e nel turismo, governance e disciplina degli organismi, con l’analisi delle esperienze territoriali di Ebiterbo della provincia di Bologna, EbiVeneto e Friuli Venezia Gulia, l’ente per il turismo Ebti della Regione Lazio. “Ora il problema è di rendere omogenei i vari fondi – ha detto – trasparenti dal lato delle risorse, attraverso il controllo contabile dei bilanci certificati. Inoltre, c’è la necessità di rivedere il quadro normativo, perchè l’approccio del legislatore non corrisponde alla conformazione degli enti presenti nei diversi settori. L’obiettivo finale è di arrivare a creare enti bilaterali come enti di prossimità, più vicini ai bisogni delle persone”.
Michele Raitano, dell’università La Sapienza di Roma, ha puntato l’obiettivo sul tasto dolente delle eventuali nuove frontiere della bilateralità, vale a dire i costi di operazioni di integrazione di sostegno al reddito dei lavoratori nel commercio, turismo e lavoro domestico. “In settori così frammentati c’è assoluto bisogno – ha detto – dell’integrazione di ammortizzatori sociali, che, sempre per ciò che concerne il turismo, nel 95 per cento dei casi non è coperto dalla cassa integrazione, una percentuale che scende al 66 per cento nel commercio. Nel contempo, c’è bisogno di un maggior utilizzo del welfare, perchè non si può pensare di scaricare tutto sulla bilateralità: in tale comparto l’eventuale sostegno al reddito da parte degli enti bilaterali avrebbe costi troppo alti”.
Franco Martini è intervenuto in chiusura di lavori. “Adesso è necessario un secondo accordo di governance del sistema – ha ricordato ai presenti – perchè la bilateralità non è come la lampada di Aladino che basta sfregarla per risolvere tutti i problemi. Con la ricerca presentata, vogliamo dimostrare che la bilateralità è importante per il nostro settore e quali interventi sono da fare per renderla ancora più importante. Il secondo intervento sulla governance dovrà rendere cogenti le decisioni prese a tutti i livelli, con monitoraggi, sanzioni, sperimentazioni, oltre a ribadire la missione prevalente della bilateralità, altrimenti gli enti in questione diventano autoreferenziali ed è meglio chiuderli, perchè non servono a nulla. Se la bilateralità è di fonte contrattuale, allora il costo di un pezzo del contratto diventa la benzina che serve per far funzionare la macchina”.
“Oggi – ha concluso Martini – siamo al paradosso che la bilateralità è diventata il punto più alto di una contrattazione che va scomparendo. Di fronte alla crisi, esigue sono le risorse per la bilateralità in quanto esigue sono le risorse anche per il rinnovo contrattuale. Nel nostro settore i lavoratori hanno poche risorse per proteggersi dalla crisi. Ci sono priorità d’intervento e per noi quella assoluta, che diventa un imperativo etico, è trovare qualcosa nelle pieghe del contratto da rinnovare, consapevoli e convinti che l’ente bilaterale non deve fare qualcosa di sostitutivo al posto dello Stato. Il nostro lavoro serve anche per ricordare che la stessa legge di Stabilità, in discussione in Parlamento, deve approntare un sistema di tutele di sostegno al reddito per i soggetti più deboli del mondo del lavoro. Noi faremo la nostra parte, ma anche gli altri soggetti in campo devono fare altrettanto nel merito”.