Un lavoro povero, duramente colpito dalla pandemia e dalle sue conseguenze, come quelle derivate dallo smart working e la forte diminuzione della presenza in sede, in società o enti pubblici dotati di mensa interna.
Sono stati due anni difficili, racconta Tiziana, cassiera presso la mensa della Fao di Roma, rimasta chiusa per tutti questi mesi. Lei e la maggior parte dei suoi colleghi non hanno lavorato e sono in cassa integrazione. Ora la sua ditta, Elior ha dato disdetta del servizio e la Fao ha passato la gestione al Caffè Eden che si rifiuta di riassorbire i lavoratori.
“Nel cambio appalto la ditta entrante non ci vuole prendere, dice di non aver avuto un vero contratto con la Fao e di conseguenza ci lascia a casa. Siamo in 32 che rischiamo il posto, la maggior parte sopra i 40 anni, abbiamo gli ammortizzatori sociali fino al 2 aprile, poi più niente. Sarà difficile ricollocarci nel mondo del lavoro.”
Tiziana, che lavora presso la Fao dal 2007, mercoledì scorso ha protestato davanti la sede, per cercare di farsi ascoltare da qualcuno, chiedere ai soggetti coinvolti di assumersi le proprie responsabilità: “Vogliamo tutele e rispetto, perché il lavoro è dignità.”
Da nord a sud i problemi sono sempre gli stessi: ad ogni cambio appalto, le ditte tentano di eludere il contratto nazionale smantellando diritti e tutele.
È avvenuto anche a Treviso, dove a seguito del cambio appalto del servizio di ristorazione collettiva del Ministero della Difesa nel lotto della regione Veneto, avvenuto il 27 dicembre 2021, la società subentrante Gemeaz Elior ha messo in discussione l’assunzione di alcune lavoratrici risultanti dall’elenco fornito dalle ditte uscenti e il mantenimento delle condizioni orarie e contrattuali in essere di alcune lavoratrici.
L’azienda, inoltre, ha applicato, in maniera unilaterale, la riduzione degli orari e spostato la sede lavorativa ad oltre 40 km, nonostante il capitolato di appalto non prevedesse un taglio di ore e servizi e modifiche delle attività correlate da svolgere.
A nulla sono serviti gli incontri, anche alla presenza della Regione Veneto, fatti per cercare di trovare un accordo e dopo lo stato di agitazione, Filcams e Fisascat di Treviso hanno organizzato uno sciopero per lo scorso 16 marzo.
Le difficoltà del settore sono tante e le storie lo confermano: a Palagiano in provincia di Taranto i lavoratori delle mense scolastiche non ricevono lo stipendio da due mesi a causa dei debiti con l’erario della ditta che gestisce il servizio, a L’Aquila hanno protestano degli universitari, perché rischiano di rimanere senza servizi e senza mensa e di conseguenza gli addetti saranno senza lavoro.
In un contesto così difficile, è davvero complicato comprendere la scelta del governo di togliere dal testo del DDL Appalti l’obbligo dell’inserimento della clausola sociale nei bandi di gara. Già ora ad ogni cambio appalto le aziende cercano, con diversi escamotage, di non rispettare l’obbligo di assunzione dei lavoratori della ditta precedente, figuriamoci se la scelta può essere facoltativa.
Per questo Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltrasporti e Uiltucs chiedono che la Camera ascolti le richieste del Sindacato e ripristini l’obbligo dell’inserimento delle clausole sociali nei bandi, solo cosi si può impedire che ogni cambio di appalto si trasformi in perdita di posti di lavoro e di reddito per centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori occupati in servizi essenziali di pubblica utilità per il settore sanitario, per le scuole e più in generale per la collettività.